sabato 31 gennaio 2015

Vini autoctoni del Salento

I vini autoctoni del Salento.

NEGROAMARO

Le prime notizie scientifiche sono del 1870. Diffuso già nel barese, in particolare a Barletta dove venne chiamato Purcinara e ne napoletano (prcisamente sul monte Barbaro, patria del decantato Falerno) Olivetta.
Il nome salentino deriva dal suo colore scurissimo (niger, latino e mavros, graco che significano “nero”) . Si conoscono poco più di 70 ceppi rappresentativi dei diversi biotipi di Negro amaro ubicati in diverse località della provincia di Lecce. 
Recenti ricerche (prof. Di Stefano, Istituto Sperimentale di Enologia di Asti) riferiscono a questo vitigno grandi qualità di antiossidante e lo segnalano come ricco di sostanze antiallergiche e antimutagene, oltre che per le proprietà di cardiotonico, dovute alla presenza di resveratrolo.


PRIMITIVO

Il nome deriva dalla precocità delal raccoltas . Antichissimo. Giunto nel Salento più di duemila anni fa dalle terre dalmate, portato qui dagli Illiri. Da dove giunsero, come sappiamo, anche quelle popolazioni che si fusero con le genti indigene dando così origine all’antica civiltà messapica. Appena giunge settembre sulla pianta il frutto è già maturo. Al gusto la polpa è dolce e succosa. Il colore dell’acino e di un rosso intenso vinoso. 
Come il suo vino. La forma dell’acino è rotonda. Il vino che se ne ricava sviluppa aromi di grande complessità, particolarissimi. Ad avvalorare la tesi della sua origine balcanica ecco la somiglianza anzi identità che il vitigno dimostra con il vitigno croato denominato “Plavac mali". Recenti analisi del DNA avvalorano anche l’ipotesi di una identità del Primitivo salentino con lo Zinfadel, vitigno originario, come si sa, dell’Ungheria. 
Il carattere del Primitivo è quello stesso del terreno che esso ha scelto per insediarvisi e che predilige. Ama l’argilla profonda e il calcare rugoso. Il suo vino è amabile e corposo. È anche molto alcolico. È speziato, strutturato, gentile e forte. 
Un tempo vino da taglio, grazie al lavoro dei nostri enologi e delle nostre cantine il Primitivo è oggi un gran vino di qualità.


MALVASIA BIANCA DI LECCE

Nella grande famiglia delle Malvasie si distinguono, come si sa, quelle bianche e quelle a frutto colorato. Anche per questo vitigno si vantano storiche e lontane origini e ancora una volta, come già per il Negro amaro e per il Primitivo, le strade 
conducono alla Grecia, in questo caso anzi al Mediterraneo orientale. L’epoca è quella sul finire del Medioevo, quando navi genovesi e veneziane solcavano e dominavano i mari. Lo stesso nome, Malvasia, deriverebbe, si dice, dal termine greco “Monenbasia”, che significa “porto ad una sola entrata”. 
E si attribuisce proprio ai veneziani l’uso del termine Malvasia per denominare i vini provenienti dal Mediterraneo orientale. Era il tempo in cui le navi delle repubbliche marinare, tra beni di lusso e spezie e lane e altri scambi di merci, erano cariche anche di questi vini dolci diretti ai paesi del Nord-Europa: proprio “perché i vini del Mediterraneo erano più dolci, più pesanti e a più alta gradazione alcolica, il che significava che viaggiavano meglio, duravano più a lungo e perciò erano più pregiati” (Unwin, Storia del vino, 1993). E così soppiantarono, nel gusto e nel valore di mercato, i vini bianchi secchi dell’Europa del Nord, della Guascogna e della Germania. Quanto alla nostra Malvasia Bianca il biotopo è stato individuato nella zona di Fontanebianche nel Siracusano. Presenta foglia media, pentagonale, pentalobata, grappolo di medie dimensioni e compattezza, acino di taglia media e forma sferoidale, a buccia leggermentge pruinosa di colore verde giallastro. 
Il vitigno entra nella composizione della DOC Leverano.


MALVASIA NERA DI LECCE

Grande e diffusa in tutta Italia è la famiglia delle Malvasie, la cui provenienza ed origine è, come si è detto, dal Mediterraneo Orientale: la coltivazione del vitigno è diffusa dal Piemonte alla Puglia, dalla Sicilia al Lazio e alla Toscana e molti studiosi, tra ‘800 e ‘900, si sono cimentati nella individuazione dei tanti numerosi e diveri vitigni così denominati. A volte esse hanno sapore semplice, a volte aromatico o debolmente aromatico. Diverse anche, tra loro, le attititudini alla vinificazione. Tra le Malvasie a frutto colorato, nero o rosso, si ritrovano anche la Malvasia Nera di Lecce, la Nera di Brindisi e Nera di Basilicata. Non si ritrova, nella Nera di Lecce, quel sapore di moscato amarognolo tipico di quasi tutte le Malvasie diffuse in Italia e in Spagna. E se ne ricava un vino di colore rosso rubino carico, abbastanza tannico. Raramente in purezza, si utilizza in uvaggi con altri vitigni e anche nella produzione dei Rosati. 
Concorre nelle DOC Squinzano, Salice Salentino, Leverano, Copertino, Alezio, Nardò. La sua foglia è di taglia media, pentagonale, quinquelobata. Il grappolo è di taglia grossa e l’acino, di colore blu scuro, si presenta con forma ellittica e buccia consistente e fortemente pruinosa.


ALEATICO

Morbido, vellutato, dolce al gusto è il vino che si ricava dalle uve dell’ Aleatico, anch’esso nobile e antichissimo vitigno la cui coltivazione si dice sia stata introdotta in Italia dai Greci (“uva liatica di provenienza greca”, nella citazione del Trinci, 1726). 
Il vitigno si diffuse in particolare nel Lazio e in Puglia. 
Il nome potrebbe derivare da Luglio (in greco iouliatico), mese della sua maturazione.
Ai profani il grappolo, di forma allungata, si riconosce dagli acini sferoidali: con buccia di colore blu molto pruinosa e di medio spessore. Del vitigno si conosce anche, in Toscana, una versione a bacca bianca detta Liatico. Il nostro dolce Aleatico ha un’età di maturazione medio-tardiva e per agevolarla predilige climi caldi e una buona esposizione. Offre vini prelibati e le sue uve si gustano anche a tavola: per il gradevole sapore moscato e per quell’aroma così esclusivo e particolare. Di una uva Levatica a frutto bianco parlano le fonti (Pier de Crescenzi,1492). Nulla a che vedere comunque con quel vino, citato da Plinio, che i Greci chiamavano “aigleucos”, parola con cui si indicava il suo essere “sempre mosto” e che, nel gusto degli antichi, si collocava “a metà strada tra i vini dolci e il vino vero e proprio”. 





  




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