domenica 28 giugno 2015

I carpacci di mare

Giuseppe Cipriani, il grandissimo chef dell'Harrys Bar in Venezia, nel 1950 aveva a tavola la contessa Amalia Nani Mocenigo (la famiglia Mocenigo, di nobilissime origini, veneziana, annovera prelati, dogi, militari, scrittori).
I medici vietarono alla contessa la carne cotta e il Cipriani le preparò un piatto di carne cruda al quale diede il nome del pittore dei dogi: Vittore Carpaccio. 
Alla contessa vennero servite sottilissime fettine di controfiletto di manzo disposte in piatto da portata e decorate con salsa. 
Il carpaccio può essere di carne o di pesce. La cucina piemontese, in particolare, ha un suo capraccio, la "carne all'albese" che prevede una guarnizione di parmigiano in scaglie e tartufo. Sempre in Piemonte esiste la cosiddetta: carne cruda. Si tratta di carne trita battuta "al coltello", aglio, olio, sale e pepe.

Questa volta L'enogastronomia Povero ci propone la lista dei carpacci di mare, in particolare:
  • DI filetto di salmone scozzese
  • Di tonno scottato
  • Di polpo
  • Di pesce spada
Il sommelier ci propone di abbinare il carpaccio di mare con un Pinot Grigio Franz Haas. 
Caratteristiche del vino: 


Colore giallo paglierino intenso. Profumo con eleganti note floreali ed aromi che ricordano i fiori bianchi, la frutta secca, e le erbe aromatiche. Al palato è pieno e ricco ma sempre elegante e delicato.
note eleganti di sambuco, pistacchi e petali di rose. Al palato è morbido con decisa nota minerale

Tipo:
 vino bianco fermo, di medio corpo, morbido e fruttato, con note floreali e minerali
Classificazione: 
Alto Adige DOC
Gradazione alcolica:
 12,5% vol.
Uve: Pinot Grigio
Contenuto: 75,0 cl
Zona di produzione: Regione Trentino Alto Adige

Vinificazione e affinamento:
 La fermentazione del mosto avviene a temperatura controllata in acciaio ed in piccole botti di rovere (barrique). Successivamente il vino matura per circa 4 mesi sui lieviti, periodo necessario per aumentarne corpo, profondità e struttura

Abbinamento: primi piatti a base di pasta e cereali, piatti di verdura e carne bianca alla griglia.
Riconoscimenti:Gambero Rosso 2015: Annata 2013 - 2 bicchieri
Guida Vini d’Italia Gambero Rosso 2014:
 Annata 2012 - 2 bicchieri
Gambero Rosso: Annata 2010 2 bicchieri
Luca Maroni: 90
Espresso: 20


mercoledì 24 giugno 2015

Tempo di crostini

La lista dei meravigliosi crostini proposti dall'enogastronomia Povero:

Con Guanciale al Brandy
Con Gorgonzola Castagna 
Con Speck d'oca
Con la N'duja
Con Lardo di Pata Negra
Vegetariani


Guanciale al brandy. Il guanciale è un prodotto tipico umbro, che richiede tecniche di preparazione dell’arte dei Mastri Norcini. È ottenuto da suini nazionali pesanti, più precisamente dalle guance. Quello proposto da Marco è stagionato per 60 giorni, impreziosito dalla marinatura a bagno di Brandy e ricoperto di pepe bianco e cannella.

Il gorgonzola Castagna D.O.P. è un formaggio a pasta bianca, morbida con venature regolari. Nel Gorgonzola piccante invece la pasta compatta assume un’erborinatura molto più diffusa. Questo prodotto a “fermentazione naturale” viene stagionato  in  cantine sotterranee  per 180 giorni: raggiunta la maturazione il sapore rende al massimo per tonalità e rotondità di sapore.

Speck d'oca. I petti d’oca vengono posizionati a strati (circa una decina) in una speciale vasca per la marinatura e posizionati in un apposito locale a temperatura controllata dove stazionano per il tempo necessario ad assorbire i profumi delle spezie con le quali ogni strato è ricoperto, quindi avviene l’affumicatura a freddo possibilmente con legna di faggio inumidita. Lo speck viene quindi stagionato.

Lardo di Pata Negra.La particolarità di questo lardo sta nel fatto che esso viene ricavato da suini di razza “Iberico de Bellota” comunemente chiamato “Patanegra”; si tratta di maiali selvatici caratterizzati da una folta peluria nera o grigia. Tali maiali, nei mesi precedenti la macellazione, sono allevati allo stato brado, prevalentemente nella regione di Extremadura, o nelle vicinanze del paese di Jabugo (Huelva) o negli altipiani vicini a Salamanca, nutrendosi delle ghiande e delle erbe che trovano nei pascoli. Il maiale viene poi macellato al secondo anno di vita. 

N'duja. È tipica del Monte Poro: Spilinga (in provincia di Vibo Valentia) è il comune d'elezione, ma l'area di produzione è estesa a molti comuni del vibonese. Ilnome nduja deriva dal francese "andouille", che vuol dire "salsiccia". Non è tuttavia una salsiccia, per quanto possa assomigliarci, piuttosto parliamo di un salame splmabile. La nduja è fatta con carne di maiale, un po' di grasso, e molto peperoncino piccante.  
I crostini si sposano stupendamente con un Frizzantino Solandia, un vino veneto con sensazione di freschezza e briosità. Prodotto con uve di Garganega, Chardonnay, Sauvignon, è di colore paglerino con riflessi verdognoli e spuma candida. Ha un profumo penetrante e raffinato, si riconoscono fiori e frutta. Il sapore è secco, frizzante, leggero. 

sabato 20 giugno 2015

Marco propone: Testun ubriaco e Oltreme



"Testun"   in   piemontese     significa testa dura. Questo meraviglioso formaggio è   a pasta semidura, storicamente prodotto con una miscela dei latti presenti negli allevamenti, vacca, pecora e capra. La forma della toma è cilindrica con dimensioni variabili dai 5 ai 7 Kg. con un diametro di 30 – 35 cm. ed uno scalzo diritto, alto 8 – 10 cm. La pasta di colore biancastro o giallognolo, il sapore è dolce per il formaggio più giovane e diventa  piccante con la stagionatura. La crosta di colore giallo, ma dopo qualche mese di fabbricazione diventa più scura.
Alcune forme del famoso Testun, vengono destinate alla stagionatura nelle vinacce in piccole botti di rovere. Da qui nasce il “Testun Ciucat” ossia il testun ubriaco. Nel suo gusto spiccano i sentori di vino piemontese. Viene fatto stagionare per circa 1 mese e poi lasciato riposare sotto uno strato di vinacce per almeno altri 3 mesi. Un'esplosione di sapori che portano alla mente il monregalese, terra di produzione e nascita di questa meraviglia, le visioni delle Langhe, le parole di Pavese, Lajolo, Fenoglio. 

Coloregiallo paglierino
Odoregradevole
Sapore: delicato
Consistenza: semicompatta
Crosta: sottile e rugosa
Temperatura conservazione da 0 a+ 4° c


Un formaggio ben strutturato merita un vino capace di sfruttarne le caratteristiche ed esaltarle. Innanzi tutto sfatiamo la leggenda che i vini rossi debbono essere serviti a temperatura ambiente, noi in estate lo amiamo servito in secchiello di ghiaccio che lo rinfresca e lo porta a una temepratura che potremmo chiamare "cantina" un fresco naturale che ne esalta gli aromi. Il testun ubriaco merita un accompagnamento come OLTREME delle Cantine Rubino. La scheda così recita: 

Oltremé, Susumaniello Igt Salento Rosso è un vino dalla trama affascinante. Armonico ed avvolgente, incanta per la sua armonia, persistenza ed, eleganza ed equilibrio.
Tipologia: rosso – IGT Salento

  • Vitigno: Susumaniello 100%
  • Gradazione alcolica: 13,50% vol.
  • Dati analitici: pH 3,70 – acidità totale 5,90 g/l
  • Zona di produzione: Brindisi
  • Altitudine: sul livello del mare
  • Tipo di terreno: sabbioso
  • Sistema di allevamento: cordone speronato
  • Piante per ettaro: 6.000
  • Anno di impianto: 2004
  • Resa per ettaro: 70 quintali
  • Vendemmia: primi giorni di ottobre
  • Fermentazione: in serbatoi d’acciaio
  • Macerazione: 10 giorni a temperatura controllata
  • Fermentazione malolattica: svolta interamente
  • Affinamento: in serbatoi d’acciaio
  • Affinamento in bottiglia: 2 mesi
  • Annate prodotte: 2011, 2012
  • Produzione annuale: 30.000 bottiglie
  • Temperatura di servizio: 15°-18° C

NOTE DI DEGUSTAZIONE

  • Colore: rosso rubino intenso con riflessi violacei.
  • Olfatto: fragranti e fresche note di frutta a bacca rossa, tra cui spiccano ciliegia, melagrana, lamponi e sentori che ricordano la prugna matura.
  • Palato: sapido, minerale, rotondo con tannini piacevoli e morbidi che lo rendono particolarmente piacevole nella beva.
  • Caratteristiche: vino armonico ed avvolgente, dalla trama elegante e persistente, incanta per la sua armonia, per la persistenza e per  eleganza. Singolari e particolari legati all'unicità del vitigno.
  • Abbinamenti gastronomici: versatile e seducente, predilige i piatti saporiti come le melanzane e i peperoni ripieni, le orecchiette al pomodoro, il risotto con i funghi porcini. Molto piacevole la combinazione con salumi, formaggi non troppo stagionati, arrosti di carne misti e la possibilità di apprezzarne le sue qualità in tanti piacevoli momenti.

RICONOSCIMENTI

Oltremé 2012
  • Oscar Bere Bene – (Guida Bere Bene Gambero Rosso 2014)






martedì 16 giugno 2015

Oggi Marco propone: Fave e Cicore

Cicore e fave, piatto tipico del Salento

"Uno dei piatti tipici della tradizione culinaria della Puglia è proprio fave e cicorie. La sera prima, occorrerà mettere le fave secche (decorticate) in ammollo. Il giorno dopo, quindi, andrà sbucciata una patata e tagliata a pezzetti, per essere messa in pentola con le fave, in modo che la patata  renda più cremoso il composto; aggiungere acqua fino a coprire di un paio di dita il tutto, e lasciar cuocere a fuoco basso, per un paio di ore, fino a quando cioè le fave si sfaldino. Girando con un cucchiaio di legno, il tutto assumerà la consistenza di un purè. A parte, occorrerà lavare perbene le cicorielle, eliminando le foglie secche e le radici; quindi, cuocerle in abbondante acqua salata. Infine, scolarle, e sistemarle (con le fave) nella metà del piatto non occupato dal purè, condendole con dell’ottimo olio extravergine di oliva.
La cicoria, erba del sole
Un giorno, il Sole chiese in sposa una bella donna, la Dama dei fiori; che, però, rifiutò la richiesta. A quel punto, il Sole, indispettitosi, la trasformò in un fiore di cicoria, condannato a fissare l’astro dal momento in cui appare all’orizzonte, fino a quando scompare. In effetti, la cicoria (sponsa solis, sposa del sole), si apre con il sorgere del sole e si chiude quando tramonta.
Esistono molte varietà di cicorie, di diverse morfologia. La più comune è quella selvatica, che cresce lungo i bordi delle strade e dei sentieri.
Le foglie, che sono ricche di sali minerali, si colgono per farne un’ottima insalata amarognola (molto raccomandata sin dall’antichità, perché giova al fegato, è depurativa, febbrifuga, e leggermente lassativa, diuretica e tonica. Dalle radici e dalle foglie di ricava anche un tonico amaro e lassativo; una volta, le radici, seccate, tostate e macinate, venivano utilizzate come surrogato del caffè.
La fava
Nel mondo antico, era convinzione diffusa che le fave impedivano di tenersi puri. I pitagorici la ritenevano uno strumento (nefasto) di collegamento tra l’Ade e il mondo degli uomini. Si credeva che una fava, chiusa in una scatola e sepolta nella terra (o nel letame), dopo un periodo di gestazione, si trasformasse in testa di bambino (o in un sesso femminile), oppure, che diventasse sangue. Di qui, il diffuso rifiuto di alimentarsi di fave, perché significava alimentarsi di carne e sangue umani, comportarsi, cioè, come le bestie feroci.
Già nel XVI secolo, si ammoniva che le fave “gonfiano e fanno ventosità, digerisconsi malagevolmente, fanno sognare cose paurose e terribili, e fanno il corpo carnoso”. Una pratica contadina vuole che si utilizzino le fave, quando sono piantine ancora tenere, per “ingrassare” il terreno, attraverso la tecnica nota come “sovescio”. Questa tecnica, infatti, che consiste nel sotterrare le piante ancora in fiore, serve per arricchire il terreno di azoto atmosferico (utilizzato proprio dalle giovani piante).
Nella cultura popolare meridionale sono diffusissime credenze e proverbi legate alla ‘fava’. Tanto per citare un solo esempio: nelle terre del Gargano, in Puglia, la notte di san Giovanni Battista, la ragazza da marito metteva sotto il cuscino tre fave, una con la buccia, un’altra senza e la terza morsicata nella parte superiore. Durante la notte, ne prendeva, a caso, una: la prima (quella con la buccia), avrebbe predetto alla ragazza una vita da ricca; la seconda (senza la buccia), una vita da povera; la terza (la fava morsicata), una vita mediocre.
Siccome la fava, in fase di cottura, si gonfia, e ha la prerogativa, più di altri legumi, di riscaldare lo stomaco e di gonfiare gli intestini, ha sempre evocato, nella cultura contadina, il simbolo dell’uomo borioso, gonfio di sé. Il proverbio ancor oggi popolare è quello che si ispira all’uccellagione: “Pigliar due piccioni con una fava”, che sta a dire che si possono ottenere due vantaggi con un unico mezzo, o con uno solo sforzo.

Marco ci propone questa prelibatezza con un meraviglioso Chardonnay della cantina Cantele. Un vino libero aromi di mughetto, magnolia, ginestra, tiglio. Ottimo accompagnamento anche per pesci e alcuni formaggi.


CLASSIFICAZIONE: I.G.T. Salento
UVE: Chardonnay.
vini_chardonnayZONA DI PRODUZIONE: Guagnano (Le), Montemesola (Ta).
SISTEMA DI ALLEVAMENTO: Guyot (5.000 ceppi per ha).
EPOCA DI VENDEMMIA: Prima decade di Agosto.
VINIFICAZIONE: Le uve vengono diraspate, pigiate e pressate in maniera soffice. Il mosto così ottenuto viene raffreddato a 10° C per consentire una naturale chiarificazione. La fermentazione alcolica avviene in serbatoi in acciaio inox a 15° C.
AFFINAMENTO: In serbatoio d’acciaio fino all’imbottigliamento.
CAPACITÀ DI INVECCHIAMENTO: Un vino che riesce a mantenere la sua freschezza e sapidità per circa 2 anni.
COLORE: Giallo paglierino con fugaci accenni verdolino.
PALATO: La struttura alcolica contrapposta alla freschezza e la sapidità “saziano” le aspettative di un vino immediato e piacevole. Nel finale le riproposizioni olfattive lasciano il ricordo intenso dell’armonia di questo vino.
ABBINAMENTO: Da abbinare alla produzione ittica in genere, degno compagno di molluschi e crostacei. Verdure e formaggi a pasta molle.
SERVIRE A: 11° C.


giovedì 11 giugno 2015

Bottarga di muggine e vermentino

Marco propone: Bottarga di muggine abbinata ad un ottimo vermentino.

La bottarga è costituita da uova di pesce salate ed essicate. Può essere di muggine e di tonno. Il secondo ha un sapore decisamente più intenso.

L’origine del prodotto pare sia attribuibile ai fenici. Il nome deriva dall’arabo Batarikh (uova di pesce salate). Nell’antichità per la conservazione, oltre il sale, la bottarga veniva rivestita di un manto di cera d’api fusa. Diffusissima in Sicilia e Sardegna.

Il buongustaio anzitutto non può che consigliare la bottarga semplicemente tagliata a fettine sottili, condita con un filo d'olio extravergine d'oliva possibilmente fruttato, accompagnata da crostini di pane sapido.   


Il Vermentino si presenta con un colore giallo paglierino ed un leggero perlage. Il profumo è fine ed intenso,  con sentori di frutti bianchi, note floreali. Si beve giovane, eccezionale come aperitivo o vino da pasto con piatti di mare, pesce crudo, carni bianche.

Fonti delle notizie: www.wikipedia.com  www.orodicabras.com  www.terradidelizie.it 


martedì 9 giugno 2015

Vinicio Capossela - Il ballo di San Vito



Salsicce fegatini
viscere alla brace
e fiaccole danzanti
lamelle dondolanti
sul dorso della chiesa fiammeggiante


vino, bancarelle
terra arsa e rossa
terra di sud, terra di sud
terra di confine
terra di dove finisce la terra



e il continente se ne infischia
e non il vento
e il continente se ne infischia e non il vento
Mustafà viene di Africa
e qui soffia il vento d'Africa
e ci dice tenetemi fermo
e ci dice tenetemi fermo



ho il ballo di S. Vito e non mi passa
ho il ballo di S. Vito e non mi passa



La desolazione che era nella sera
s'è soffiata via col vento
s'è soffiata via col rhum
s'è soffiata via da dove era ammorsata
Vecchi e giovani pizzicati
vecchie e giovani pizzicati
dalla taranta, dalla taranta
dalla tarantolata
cerchio che chiude, cerchio che apre
cerchio che spinge, cerchio che stringe
cerchio che abbraccia e poi ti scaccia



ho il ballo di S. Vito e non mi passa
ho il ballo di S. Vito e non mi passa



dentro il cerchio del voodoo mi scaravento
e lì vedo che la vita è quel momento
scaccia, scaccia satanassa
scaccia il diavolo che ti passa
scaccia il male che ci ho dentro o non stò fermo
scaccia il male che ci ho dentro o non stò fermo



A noi due balliam la danza delle spade
fino alla squarcio rosso d'alba
nessuno che m'aspetta, nessuno che m'aspetta
nessuno che mi aspetta o mi sospetta



Il cerusico ci ha gli occhi ribaltati
il curato non se ne cura
il ragioniere non ragiona
Santo Paolo non perdona



ho il ballo di s. Vito e non mi passa
ho il ballo di S. Vito e non mi passa



Questo è il male che mi porto da
trent'anni addosso
fermo non so stare in nessun posto
rotola rotola rotola il masso
rotola addosso, rotola in basso
e il muschio non si cresce sopra il sasso
e il muschio non si cresce sopra il sasso



scaccia scaccia satanassa
scaccia il diavolo che ti passa
le nocche si consumano
ecco iniziano i tremori
della taranta, della taranta
della tarantolata...

domenica 7 giugno 2015

La carta delle frise? Sta arrivando!!!

Quando nacque la frisella? L’enigma rimane insoluto, Il prof. Armando Polito, in un bell’articolo sul sito della fondazione terra d'Otranto afferma, che una prima descrizione del “pane nautico” ideale per i naviganti in quanto si conservava, la troviamo nelle parole di Plinio, nella Naturlais Historia al capitolo XXII par. 138:

Panis hic ipse, quo vivitur, innumeras paene continet medicamentas. ex aqua et oleo aut rosaceo mollit collectiones; ex aqua mulsa ad duritias valde mitigandas, ex vino ad discutienda aut quae praestringi opus sit et, si magis etiamnum, ex aceto, adversus acutas pituitae fluctiones, quas Graeci rheumatismos vocant, item ad percussa, luxata, ad omnia autem fermentatus, qui vocatur autopyrus, utilior. inlinitur et paronychiis et callo pedum in aceto. vetus aut nauticus panis tusus atque iterum coctus sistit alvum

 (Questo stesso pane, di cui si vive, contiene quasi innumerevoli medicamenti. Con acqua e olio o olio rosato ammorbidisce gli ascessi; validamente con acqua mielata i duroni da ridurre, col vino per i mali da rimuovere o quelle cose che sia necessario essere ridotte e, se ancor più, con aceto, contro gli acuti attacchi di catarro, che i Greci chiamano reumatismi, inoltre per le parti colpite, lussate, per tutte poi più utile quello fermentato, che è detto integrale. E' spalmato con aceto anche per i paterecci e la callosità dei piedi. Il pane vecchio o marinaro frantumato e di nuovo cotto ferma l'intestino)

Mentre al sito Brindisi web troviamo questo racconto:

Uno dei prodotti tipici molto apprezzato a livello nazionale, che caratterizza il sud Italia ed in particolare la Puglia, è la frisa detta anche friseddha o frisella. Si tratta di un particolare pane secco (disidratato) fatto con grano duro (naturalmente non mancano le varianti con diversi tipi di farina), ottenuto attraverso una doppia cottura. Per gustarla deve essere immersa in acqua fredda (il tempo di immersione ne determina il grado di durezza, rendendola così adattabile alle esigenze del commensale); si può guarnire in diversi modi, dai più semplici: olio di oliva , sale , origano e pomodoro (spremuto sopra), ai più complessi: tonno, peperoni, fagioli, cetriolo e tanti altri modi.

Si tratta di un alimento sano e nutriente e non c’è salentino che non ne vada fiero. Alcune leggende popolari fanno risalire le origini della frisa al periodo dei Crociati che come sappiamo partivano proprio dai porti salentini di Otranto, Brindisi ed altri porti pugliesi per raggiungere la Terra Santa all’inizio del primo millennio. I numerosi crociati dovevano intraprendere un viaggio in nave che di certo non durava pochi giorni, e quindi era necessario un certo approvvigionamento di cibo che non deperisse velocemente.

La frisella può essere conservata per un periodo lungo, questo la rendeva una valida alternativa al pane e cosi diventò ben presto un vettovagliamento standard dei crociati , fino al punto che qualcuno la ha definita anche  “il pane dei crociati”. La frisa era ideale per chi viaggiava soprattutto via mare infatti, fino a qualche decennio fa, in Puglia (quando il mare era meno inquinato) si usava bagnare le friselle direttamente in acqua di mare e spesso veniva usata come “fondo” per zuppe di pesce o altri alimenti, addirittura era ottima per le zuppe di latte. A dettarne la caratteristica forma fu l’ esigenze di trasportarla. Infatti il foro centrale permetteva di infilare una cordicella per il pratico trasporto anche a mò di collana. Successivamente, grazie al suo pratico utilizzo e alle sue proprietà gastronomiche, divenne il tipico alimento dei pescatori.

Diversi tentativi sono stati fatti per comprendere la derivazione del nome. Secondo il nostro parere la più probabile è dal latino “frendere” ovvero macinare ridurre, in pezzi piccoli, proprio ad indicare ciò che accade ad essa dopo averla bagnata.
Per concludere teniamo a precisare come e quanto questo alimento merita attenzione, non solo per le ben note qualità culinarie che ci trasmettono i tipici sapori solari del mediterraneo, ma anche per la “veneranda età “ e la nobile origine pur appartenendo alle tradizioni più povere.


Ph: www.zingarate.com

Altri ne attribuiscono l’introduzione in Salento ad opera di Enea quando sbarcò a Porto Badisco. Oggi che Castro Marina vuole la primogenitura dello sbarco dell'eroe nella sua insenatura la vicenda rischia di diventare intrigante, fatto sta che, Castro o Porto Badisco, la frisella rimane invariata nei secoli.

La frisella (o frisa) è praticamente un bis/cotto. Un tarallo di grano duro o di orzo, cotto al forno, tagliato a metà in senso orizzontale e ricotto. La parte superiore rimarrà porosa, quella inferiore, dove poggiava sul piano del forno, liscia e compatta.
Si consuma bagnandola in acqua per ammorbidirla e condendola come meglio si preferisce. I pomodori non devono mai mancare, il resto sta alla fantasia, all’estro e alla disponibilità del frigorifero di ognuno.


All’enogastronomia Povero stiamo approntando una vera 

“carta delle frise” 

che presenteremo quanto prima per rendere piacevolmente sopportabile il caldo estivo di queste terre. Con una varietà di aggiunte che soddisferanno ogni richiesta. Accompagnate, ovviamente, da un ottimo e fresco vino bianco o rosato, a seconda del condimento e del gusto di ognuno. A presto con la novità!!!

venerdì 5 giugno 2015

Marco il francese propone: Fromage Comtè avec Chablis

 Marco propone: 

Comtè su letto di marmellata di arancia e cipolla accompagnato da un meraviglioso Chablis.

In quanto a formaggi, bene lo sappiamo, i francesi non sono secondi a nessuno:   

"Comment voulez-vous gouverner un pays où il existe 246 variétés de fromage?" Si chiese il generale De Gaulle. (come volete governare un paese dove esistono 246 varietà di formaggi?)

Un pezzo nobilissimo di Francia arriva all’enogastronomia Povero.

Una scheda recita:

Alla fine della stagionatura (da 6 a 8 mesi) si presenta con una forma rotonda molto grande del diametro di 55/75 cm, uno spessore da 8 a 13 cm e un peso che va dai 32 ai 45 kg (dunque leggermente superiore alla forma media di un Parmigiano reggiano). Per ogni forma ci vogliono circa 600 litri di latte crudo. Come se non bastasse ogni singola forma è tracciabile e viene controllata dopo la stagionatura da un gruppo di assaggiatori ufficiali (che invidia!) che attribuiscono un punteggio in base alle varie caratteristiche della forma, tra cui l’aspetto della pasta e, più importante per la valutazione, le qualità organolettiche. Solo con un minimo di 15 punti la forma avrà il diritto di chiamarsi Comté Extra e le verrà applicata un’etichetta verde. Forme con risultati dai 12 ai 14 punti avranno un’etichetta marrone, ma non si tratta di problemi legati al sapore del formaggio. Le malcapitate con un punteggio inferiore ai 12 punti non possono invece rotolare verso i banchi di vendita. Finiscono dritti alla Bel (la Lactalis ne detiene il 24%) per la produzione di fondute o formaggi da supermercato come “La vache qui rit” o il famoso “Babybel”. Insomma, se i genitori danno ai loro pargoli insistenti un Babybel invece che una fetta di comté, non solo lo pagano il doppio, ma i i marmocchi sgranocchiano un Comté scartato per mancanza di qualità minima, poi fuso e infine mischiato, colorato e rielaborato.
Nella zona del Comté dop ruminano all’incirca 100.000 mucche di razza Montebéliarde (95%) e di Simmenthal francese (5%). A vederle sembrano alquanto felici, perché godono di un’alimentazione naturale a base di erbe fresche d’estate e di fieno e cereali d’inverno. Per garantire qualità del latte, ogni mucca deve avere a disposizione mediamente almeno un ettaro di pascolo. Così si evita di dover ricorrere a mangimi di origine incerta. 
Non penso accada per caso, basta rispolverare una vicenda iniziata nel 2004 a casa nostra: veniva utilizzato un tipo di soia ogm per l’alimentare le mucche da latte per la produzione di Parmigiano reggiano. Greenpeace accusa da anni il Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano di aver permesso questa follia.


TERRITORIO DI PRODUZIONE

Francia. Nel Massiccio del Giura, costituito dai comuni dei dipartimenti del Doubs, del Giura, della Alta Saona ed alcuni comuni dei dipartimenti dell'Ani, del Territorio di Belfort, della Cà´te d'Or, dell'Alta Marna, della Saona, della Loira e dei Vosgi. La produzione del formaggio detto "in grandi forme" risale a tempi remoti in questa regione che fu la provincia della Franca Contea. Ne parlarono scrittori dell'antichità (Plinio), ma anche del XV e del XIX secolo (Victor Hugo). La sua fama è attestata nei “Bulletins Officiels de Cotations des Halles Centrales” di Parigi, in quanto la valutazione era diversa da quella degli altri formaggi dello stesso.

TECNOLOGIA DI LAVORAZIONE

Il latte crudo viene addizionato con caglio. In seguito alla rottura, la cagliata, presamica, viene riscaldata a una temperatura di 53° e tenuta in agitazione per almeno trenta minuti. Dopo l’estrazione, la pasta trova posto nelle fascere per una pressatura. La salatura avviene a secco o in salamoia.

Le notizie le abbiamo ricavate da:


Il Chablis è un ottimo bianco prodotto in Borgogna, nel Comune di Chablis, appunto.
La regione Chablis  è la zona vinicola più settentrionale della regione della Borgogna, in Francia. Le vigne intorno alla città di Chablis sono quasi tutti Chardonnay, per un vino bianco secco rinomato per la purezza del suo aroma e gusto. Il clima fresco di questa regione produce vini con più acidità e sapori meno fruttati dai vini Chardonnay coltivate nei climi più caldi, i vini hanno spesso una nota di "pietra focaia", a volte descritto come "goût de pierre à fusil" ("degustazione di gunflint") , e talvolta come "d'acciaio". Rispetto ai vini bianchi dal resto della Borgogna, Chablis è in media molto meno influenzato dal legno. Chablis di base è completamente senza legno, e vinificate in serbatoi di acciaio inox. La quantità di maturazione in legno, se esiste, è una scelta stilistica che varia ampiamente tra i produttori di Chablis. Molti vini Premier Cru e Grand Cru ricevono un po' di maturazione in botti di rovere, ma in genere il tempo in botte e la percentuale di barriques nuove è molto più piccola per i vini bianchi della Côte de Beaune.Ottimo,oltre che con alcuni formaggi, anche con frutti di mare ed escargot. 

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mercoledì 3 giugno 2015

lunedì 1 giugno 2015

Fusilli al pesto con acciughe

Il pesto è genovese per antonomasia. La sua anima si riconosce dagli aromi, dai profumi, dalle emozioni che solo la Liguria conosce. 
Il vero pesto è quello fatto alla maniera antica: aglio, basilico, sale grosso e pinoli nel mortaio di marmo lavorati e sfibrati con il pestello, manualmente. Solo alla fine si aggiungono olio d’oliva, ligure ovviamente, parmigiano e pecorino. Il sale grosso aiuta a sfibrare gli altri elementi e i succhi sprigionano il loro aroma intenso che inonda l’ambiente. Purtroppo (o per fortuna?) qualcuno ha inventato il frullatore, il pesto lo si fa così perchè è più veloce, ma questa è un’altra storia.
La lavorazione dovrebbe essere breve, gli elementi non si devono ossidare. Prima di condire la pasta sarà bene stemperarlo con un cucchiaio d’acqua di cottura della pasta stessa per renderlo fluido. Importante fare in modo che le foglie di basilico, pestando, non si raggruppino sul fondo ma sulle pareti del mortaio per raccoglierle man mano con movimenti circolari che ne aiutino l’amalgama con gli altri ingredienti.
Lo si può conservare a lungo quando, dopo aver messo l’olio, si lascia il barattolo aperto e coperto solo con un foglio di carta oleata finchè l’olio non salga in superficie impedendo all’aria di passare, poi si chiude il vasetto e si conserva in luogo fresco e asciutto.

Nell'epoca del frullatore e del freezer, possiamo fare il pesto senza aggiunta di olio. Quindi lo si può mettere in contenitori monodose (ideale conservare l’imballaggio di plastica delle uova comprate al supermercato, ogni “uovo” vale per due porzioni) e congelarlo, quando si scongela si aggiunge olio ed è fatta. (Suggerimento ovviamente profano, qualcuno dirà blasfemo, però funziona)

Il Basilico deve essere quello di Pra, quartiere di Genova, luogo ideale, nonostante gli eventi alluvionali ultimi, per farlo nascere e crescere. Le foglie sono piccole, non troppo evidenti, come la proverbiale riservatezza dei genovesi non vogliono farsi notare. Hanno forma ovale e convessa, il verde è tenue. Il sapore è intenso, non tendente alla menta come quello piemontese o di zone diverse.
L’aglio dovrebbe essere quello di Vessalico, località ligure nei pressi di Imperia, dal sapore più delicato.

Virgilio scrisse del Moretum in epoca romana, simile al pesto. La ricetta ufficiale è però dell’ottocento. Pare tuttavia che sia erede diretto dell’agliata (aglio e noci pestati) risalente alla repubblica marinara di Genova.

Marco propone un abbinamento invitante e intrigante:

Fusilli al pesto con acciughe.


Per accompagnare questa meraviglia cosa meglio di un

Gewϋrztraminer

delle cantine Haas? Produttori che dal 1880 fanno del vino la loro filosofia ed il loro mestiere.
Vitigno che predilige terreno con un buon contenuto di argilla e limo. Il nome, che tradotto significa  traminer aromatico, denuncia la sua caratteristica: aroma di rosa, lychee, anice stellato e cannella. Un vino strutturato, corposo, dal retrogusto intenso e persistente.