sabato 30 maggio 2015
venerdì 29 maggio 2015
giovedì 28 maggio 2015
Purpu a pignata
Il polpo, “dai molti
piedi” come dice l’etimologia del suo nome, dal greco πολύς (polýs),
"molto", e πούς, (póus), “piede”, è un cefalopede della famiglia Octopodidae.
A lui si accompagnano anche delle leggende. Famosissima quella di Tellaro, borgo di pescatori vicino a Lerici, in
provincia di La Spezia.
Se Otranto venne
salvata da una prima invasione da una serpe che bevve l’olio del faro facendolo spegnere e perdere così la rotta agli invasori, Tellaro venne salvata invece
dai saraceni che stavano per saccheggiare il villaggio proprio da un polpo che,
vedendoli, allungò i suoi tentacoli fino al cielo, trovando la corda delle
campane della chiesetta di S. Giorgio. Suonò le campane nella notte, svegliò il
paese intero e gli invasori vennero respinti. L’epigrafe nella chiesetta ancora
oggi ricorda come:
Saraceni Mare Nostrum infestantes sunt nocti
profligati. Quod polipus aer cirris suis sacrum pulsabat.
Oppiano di Anazarbo nel suo Halieutica così dice dei polpi:
“Nessuno ignora l’arte dei polpi che, simili agli scogli sui quali
si modellano, vi attaccano i bracci. Imbrogliando così i pescatori e i pesci
più grandi di loro, riescono a sfuggire a entrambi. Quando incontrano un
pesciolino, abbandonano la forma, l’apparenza di pietra e riappaiono sotto
quella di polpi e esseri viventi; con questa accortezza, assumono
alternativamente un aspetto diverso e si sottraggono alla morte”.
Per noi, più prosaicamente il polpo è una delle prelibatezze
da offrire nei nostri menu.
Il Purpu a pignata
è un piatto tipico della cucina salentina.
La “pignata” non è una pentola qualunque, deve essere
proprio quella di terracotta che un tempo si metteva sulla stufa o sulle braci
del camino e che consente cotture lente
e molto lunghe. Ideale anche per i risotti che cuociono gradualmente e con delicatezza,
ma questo è altro discorso.
La saggezza popolare salentina insegna che “lu purpu se coce cu l’acqua soa stessa”,
nella pignata si aggiungono aromi, patate, odori e si lascia cuocere a lungo,
finchè le carni sono tenere, finchè il sapore è intenso. Si raccomanda però di
seguire il consiglio, niente aggiunta di acqua o sale.
Sulla scelta del vino da abbinare possiamo tranquillamente
cercare un bel rosso dal sapore sapido, rotondo, equilibrato con tannini
morbidi al palato ed una buona persistenza con decisa freschezza e corposità
del frutto nel finale. Noi ci affidiamo ad un ottimo
NEGRAMARO DELLA MASSERIA ALTEMURA
Vitigno autoctono del Salento, il Negramaro esprime e
sprigiona tutto il calore della sua terra. Le sfumature di rosa, fragole,
rosmarino ne accompagnano la degustazione.
Scheda tecnica:
Classificazione
Salento IGT
Zona di
produzione
Agro di Torre Santa
Susanna, Salento
Uve
Negroamaro in purezza
Vinificazione
e affinamento
Le uve vengono
delicatamente pigiate e diraspate, la macerazione dura circa otto giorni
durante i quali il vino acquista la sua personalità. Completata la
vinificazione, il vino matura per 12 mesi in piccole botti di rovere cui fa
seguito un ulteriore periodo di affinamento in bottiglia.
Colore
Rosso rubino carico
Profumo
Ampio ed intenso con note
di more, ciliegie e frutta rossa matura, confettura e una dolce speziatura con
sentori persistenti di caffè, cioccolato e liquirizia.
Sapore
Sapido e rotondo, equilibrato
e di grande piacevolezza con tannini morbidi al palato, buona persistenza con
decisa freschezza e corposità del frutto nel finale.
Abbinamenti
gastronomici
Vino di ottimo corpo
particolarmente adatto per accompagnare carni rosse grigliate anche di cavallo,
specialità tipica locale, formaggi stagionati, piccanti ed erborinati.
Temperatura
di servizio
Va servito intorno ai 18°
C.
Gradazione
alcolica
13% in volume
martedì 26 maggio 2015
mercoledi 27 maggio con il Sax di Silvio Bonea
Mercoledi 27 maggio alle 21,30
all'enogastronomia Povero
performance di
SILVIO BONEA
al sax
domenica 24 maggio 2015
Ciceri e tria
Marco propone:
Fra il 35 e il 30 A.C., Orazio descriveva, nelle sue Satire una minestra di ceci, porri e lagane (laganum in latino, pasta sfoglia). Più avanti in Salento si diffuse la pasta chiamata Tria in arabo (o ytria, o ytrya). Una pasta secca che letteralmente tradotto significa “focaccia tagliata a strisce”.
CICERI E TRIA
Fra il 35 e il 30 A.C., Orazio descriveva, nelle sue Satire una minestra di ceci, porri e lagane (laganum in latino, pasta sfoglia). Più avanti in Salento si diffuse la pasta chiamata Tria in arabo (o ytria, o ytrya). Una pasta secca che letteralmente tradotto significa “focaccia tagliata a strisce”.
La pasta è semplice, fatta con farina e acqua, il formato è quello
delle tagliatelle, viene fatta cuocere normalmente in acqua bollente, tranne
una parte che viene fritta in olio caldo finché raggiunge un bel colore
ambrato.
Nel frattempo si cuociono i ceci dopo adeguata
preparazione, si unisce la pasta bollita e le tria fritte ai ceci.
A ciceri e tria viene abbinato un meraviglioso Five Roses delle Cantine De Castris.
Fondata nel 1665 dal Duca
Oronzo Arcangelo Maria Francesco Conte di Lemos (nipote di Ferrante e
Francisco, entrambi viceré spagnoli in Italia), la Cantina Leone De Castris prosegue ancora oggi la sua produzione imponente per qualità e quantità.
Il Five Roses è un vino a suo modo “magico”, con una storia
importante, ha radici nel 1943, quando Piero De Castris decise, primo in Italia,
di imbottigliare il vino rosato. La guerra aveva spaccato l’Italia in due, la
famigerata linea gotica era il confine dal quale non passavano né persone né merci,
il vino prodotto in Puglia non poteva essere portato dagli abituali clienti del
nord e francesi. Piero decise coraggiosamente, avendo come spalla la
meravigliosa moglie Lisetta, l’imbottigliamento del prodotto. Come moltissimi
geniali innovatori, venne preso per pazzo dai suoi colleghi/concorrenti, quelli
legati ad una concezione feudale dei loro “imperi”. Fu una vera rivoluzione
nella vinificazione salentina.
Il Five Roses, rosato di negramaro e malvasia nera, ha
caratteristiche che ancora oggi lo pongono ai primissimi posti nell’enologia
salentina. Dalla scheda tecnica De Castris leggiamo:
UVE Negroamaro (90%), Malvasia Nera di Lecce
(10%)
VENDEMMIA Raccolta
manuale in cassetta con selezione dei grappoli nella prima decade di settembre
ZONA DI
PRODUZIONE Salice Salentino
ALLEVAMENTO
VITI Alberello con 7.000 ceppi per ha
RESA IN UVA
PER HA 75 q.li
ETÀ MEDIA DEI
VIGNETI 35 anni
VINIFICAZIONE
Macerazione pellicolare delle uve (temperatura di 10 °C) per 5-6 ore e
successiva estrazione del mosto fiore (max 35%). Dopo la decantazione statica
si avvia la fermentazione alcolica in tini di acciaio inox alla temperatura di
14 – 16 °C.
GRAZIONE
ALCOLICA 12,00 % Vol.
giovedì 21 maggio 2015
Le specialità del mese: Tartare di Salmone e Tonno
TARTARE DI SALMONE E TONNO
Una leggenda irlandese dice del salmone della saggezza. Un Salmone si nutrì di nove nocciole cadute nel pozzo della saggezza. Così acquisì tutto il sapere del mondo. Per di più, ogni persona che ne avesse mangiato le carni ne avrebbe a sua volta, assorbito la conoscenza. Quando il poeta Finn Eces riuscì a pescarlo, lo diede al suo servitore Fionn Mc Cumhaill perchè lo cucinasse a dovere. Fionn si bruciò con il grasso bollente del pesce e per placare il dolore si succhiò il dito. Questo semplice gesto gli fece acquisire ogni conoscenza possibile e gli permise di diventare leader dei Fianna, gli eroi del mito d'Irlanda.
Da mito a mito, la tartare, che consiste nel consumare carne cruda o pesce, preventivamente tritati e messi a macerare con limone e componenti varie, prende il nome dal popolo tartaro. Questi guerrieri erano sempre in movimento, non avevano il tempo per cucinare, così mettevano la carne essicata sotto la sella del cavallo per trovarla, al momento di consumarla, ammorbidita e sfibrata.
Leggende, ovviamente, la proposta di Marco è invece un antipasto o un secondo decisamente adatto per il caldo estivo, una tartare di ottimi salmone e tonno serviti con sapienza e accompagnati da un fresco calice di
Falanghina Polvanera
Varietà: Falanghina 100% da vigneti siti a Gioia del Colle in località Marchesana.
Forme di allevamento: Viti allevate a cordone speronato; viti per ettaro 4.000.Suolo: terreni calcareo-argillosi a medio impasto.
Produzione: 70hl/ha.
Tecnica di produzione:
raccolta manuale delle uve in cassette. Spremitura soffice; fermentazione del mosto in contenitori di acciaio inox ad una temperatura di 14° per diciotto
giorni.
Gradazione alcolica: 12%
Note di degustazione:
Colore giallo paglierino, di bella luce cristallina. Profumi intensi e fini di bergamotto, pesca, albicocca, banana, camomilla, melissa e salvia. Gusto cremoso ed equilibrato, ravvivato da una gradevole corrente fresco-sapida; finale abbastanza persistente percorso da ritorni citrini e di erbe aromatiche
Marco consiglia: Copeta Stella con Passito di Cantele
Vincenzo Stella nacque nel 1861, all'età di vent'anni iniziò la sua attività di dolciario. Dopo di lui ben quattro generazioni hanno portato avanti la sua passione e il suo lavoro. Una sola cosa è rimasta invariata nel tempo: le ricette. Copeta, mustaccioli ed altre delizie accompagnano la famiglia Stella e il bisnipote Vincenzo che ne porta avanti l'attività.
La Copeta (o Cupeta) è un dolce tipico della Calabria, della Puglia e della Sicilia. Ma è presente con alcune varianti in altre zone d'Italia, citiamo il mandorlato veneto.
A base di Mandorle, miele, zucchero, in alcuni casi sesamo, prende il nome dall'arabo qubbayt (conserva dolce). Nato come un dolce natalizio, ora è presente in ogni stagione, soprattutto in estate nelle mille sagre e fiere.
Marco propone la mirabolante COPETA STELLA accompagnata da un Passito di Cantele.
VITIGNO : 100% Fiano.
ZONA DI PRODUZIONE : Manduria, Pulsano (TA).
FORMAZIONE : Cordone speronato addestrato (4.500 piante per ettaro).
VENDEMMIA : Seconda metà di settembre con un po 'vendemmia tardiva.
VINIFICAZIONE : Le uve vengono raccolte in cassette di piccole dimensioni che vengono poi utilizzati per fare essiccare l'uva in un unico stack in un loft coperto con controllo della temperatura e dell'umidità. Dopo circa 2 mesi, le uve vengono pressate per ottenere un denso, dolce mosto che fermenta lentamente per qualche settimana, prima in serbatoi di acciaio inox e poi in barriques e tonneaux.
INVECCHIAMENTO : Almeno 2 anni in botte e poi in acciaio inox e bottiglia
INVECCHIAMENTO POTENZIALE : Questo è un vino molto particolare, che continuerà ad evolversi nel tempo e premiare l'amante paziente vino.
COLORE : oro brillante con sole, nuance luminose
PROFUMO : Molto intenso, come se fosse prodotta in un alveare ricco di aromi floreali e di frutta. Miele di acacia e mela Cane. Fiori d'arancio e bergamotto.
SAPORE : Al palato questo vino rivela infiniti strati di sensazioni delicate, lisce, con equilibrio perfetto tra la sua freschezza e carattere aromatico. La dolcezza di questo vino al palato ricorda un po 'di "baci desiderati, ma non avete mai osato dare ..."
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domenica 17 maggio 2015
Marco propone: Orecchiette alla crudaiola
Secondo accreditati studiosi sono di origine provenzale. Era
una pasta piuttosto spessa, tagliata a forma rotonda, incavata nel centro per
facilitarne l'essiccazione e la conservazione. Imbarcate sulle navi mercantili arrivarono in Puglia dove divennero
piatto locale per eccellenza e che gli angioini battezzarono “Orecchiette” per
la loro forma.
Altri le fanno nascere a Sannicandro di Bari, simili per
forma alle “orecchie di Haman”, un tipo di pasta di origini piemontesi occitane.
In Puglia, dove divennero praticamente bandiera gastronomica
riconosciuta a livello planetario, possiamo trovarle con il nome di: “strascinatt”
nel barese, “chiancarelle” nel tarantino, “stacchiodi” a Latiano.
La ricetta è “povera”: farina di grano duro, acqua e sale.
Si cucinano in molte varianti, la più classica è quella con cime di rapa.
Marco propone invece un piatto stupendo:
“Orecchiette alla crudaiola”
condite con Pomodori,
Basilico, Mozzarella, Caio ricotta, Olio EVO.
Accompagnato da un
freschissimo
Cardonnay di Cantele.
Vitigno a bacca bianca
definito l’internazionale per eccellenza, capace di dare ottimi risultati in
tutte le parti del mondo dove viene coltivato, regalando vini molto eterogenei
sotto il profilo organolettico e in base anche al tipo di elaborazione. Originario
della zona del Maconnies (Borgogna), dove tra l’altro è situato il piccolo
paese di Chardonnay, risulta particolarmente diffuso in Borgogna e nella
regione dello Champagne. Piccola curiosità ancora in cerca di conferma
scientifica: potrebbe aver avuto origine spontanea tramite l’ incrocio di due
vitigni, il Pinot nero e un vitigno originario della zona dei Balcani, lo
Gouaias blanc.
Dalla scheda Cantele
leggiamo:
COLORE:
Giallo paglierino con fugaci accenni verdolino.
NASO: Vengono
dapprima liberati il mughetto, la magnolia, la ginestra, il tiglio;
all’incremento olfattivo si aggiunge la frutta in fase di maturazione e un
allettante erbaceo.
PALATO: La
struttura alcolica contrapposta alla freschezza e la sapidità “saziano” le
aspettative di un vino immediato e piacevole. Nel finale le riproposizioni
olfattive lasciano il ricordo intenso dell’armonia di questo vino.
giovedì 14 maggio 2015
Le specialità del mese : crostini con acciughe Cantabrico e tonno rosso con cipolla di tropea
Crostini con Acciughe
del Cantabrico
Le acciughe fanno il
pallone
Che sotto c’è l’Alalunga
Se non butti la rete
Non te ne lascia una
Alla riva sbarcherò
Alla riva verrà gente
Questi pesci sopresi
Li venderò per niente…
Cantava Fabrizio De Andrè
A nord della Spagna le sue acque si confondono con quelle dell’oceano Atlantico. Nel Mar Cantabrico di fondono le correnti fredde del mare del
nord e quelle temperate tropicali, è il luogo dove i forti venti del
nord permettono la crescita di quelle che sono considerate le migliori acciughe
al mondo. Loro fanno si il pallone, per difendersi dal loro convivente, il re del
Cantabrico, il tonno Bonito detto Alalunga.
Acciughe “spesse”, polpose, saporite. L’acqua ossigenata
come si deve contribuisce a far loro generare e crescere quella coltre di grasso
che ne esalta il sapore.
Vengono pescate in primavera/estate, quando risalgono in
superficie.
Acciughe, ovviamente, accompagnate con un eccezionale Sauvignon Franz Haas
Vino giallo paglierino, con aromi di pesca bianca, sambuco, frutta secca e aromi orientali. Un abbinamento perfetto!
Tonno rosso sott’olio
su letto di cipolle di Tropea
Il tonno rosso, appartenente alla famiglia delle Scombridae
e conosciuto anche come Tonno pinna blu, è eccezionalmente buono e versatile in
cucina. Frequenta mari con temperature mai inferiori ai 10° e si avvicina
raramente alle coste. Ottimo da consumare crudo, è prediletto, ahinoi, dai
giapponesi che lo consumano in sushi e sashimi. La pesca ne è rigorosamente controllata
per evitarne l’estinzione.
La cipolla rossa di Tropea è un vero e proprio unicum della
produzione italiana. Dolce, deliziosamente “morbida” (qualità dovute alla
considerevole quantità di glucosio, saccarosio e fruttosio che contiene),
altamente digeribile e ricca di vitamine, la si trova in numerosissime ricette,
non ultima la marmellata di cipolla di Tropea.
Involucro rosso su “tuniche” concentriche bianche, viene coltivata da oltre 2000 anni nella zona di Tropea dove il microclima, la
vicinanza del mare, il terreno fresco e “limoso” e la mancanza di sbalzi di
temperatura, rendono unica la riuscita del raccolto. Importata dai Fenici, immediatamente venne “adottata”
dagli abitanti della Calabria.
Marco la propone come ideale accompagnamento del tonno rosso sott’olio, meraviglioso abbinamento nel quale il sapore del tonno esalta quello della cipolla e viceversa.
Come ideale accompagnamento cosa meglio di un vino dal profumo delicato, fragranza di frutti rossi e fiori, morbido, equilibrato. Nulla meglio delle bollicine di un rosato con bollicine:
Marco la propone come ideale accompagnamento del tonno rosso sott’olio, meraviglioso abbinamento nel quale il sapore del tonno esalta quello della cipolla e viceversa.
Come ideale accompagnamento cosa meglio di un vino dal profumo delicato, fragranza di frutti rossi e fiori, morbido, equilibrato. Nulla meglio delle bollicine di un rosato con bollicine:
Melarosa due Palme
giovedì 7 maggio 2015
Parmigiana di Melanzane
Forse nacque come piatto povero: melanzane dell’orto, salsa
di pomodoro e mozzarella. Ingredienti che si trovavano con facilità ed era
nutriente al punto giusto. Poi divenne il piatto delle feste, soprattutto della
vigilia di Sant’Oronzo, il 25 agosto, quando, come in ogni vigilia, era bene
mangiare “di magro”. Il dì della festa la tradizione prevedeva galletto invece.
Intanto la fantasia e le disponibilità economiche
arricchivano il piatto, si aggiunsero uova sode, pecorino e tutto ciò che la
fantasia prevedeva. Nei giorni non di magro non mancavano mortadella, polpette,
prosciutto.
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| ph:www.cosedicasa.com |
Oggi è uno dei piatti forti e tipici della gastronomia
salentina, di ricette ne esistono moltissime, proprio per la sua poliedrica
composizione.
Il nome rimane invece un mistero, non deriva sicuramente dalla
città di Parma, neppure dal noto formaggio, che all’epoca qui era sostituito
dal pecorino. C’è chi lo fa risalire al siciliano “parmiciana”, persiana dalle
tipiche liste di legno sovrapposte, chi a “petronciana” nome dialettale della melanzana.
Fra le ricette “ufficiali” ne prendiamo una “Salento in
tavola” di Lucia Gaballo D’Errico (Congedo editore).
Parmigiana di Melanzane
Melanzane 1 Kg.
6 uova
200 gr. Di mortadella
2 mozzarelle
200 gr. Di carne macinata
100 gr.
Formaggio pecorino
Olio, sale.
Sbucciare le melanzane, tagliarle a fette dello spessore di
½ cm. Cospargerle di sale e lasciarle in una ciotola un’ora circa possibilmente
al sole. Asciugarle bene, passarle nella
farina e nell’uovo sbattuto e friggerle in abbondante olio bollente. Eliminare con
carta assorbente l’eccesso di olio. A parte preparare una salsa di pomodoro
fresco e polpettine di carne (carne trita, pan grattato, pecorino, sale).
Disporre in una teglia da forno uno strato di melanzane,
pecorino, salsa, mozzarella a cubetti, polpettine e mortadella. Proseguire con
gli strati e si ultima con salsa di pomodoro con basilico fresco. Infornare finchè non si forma un crosticina.
Lasciare intiepidire e servire. Il forno
ideale sarebbe quello antico, a legna e brace.
Una buona parmigiana si accompagna con ottimo rosato. Marco suggersice un Five Roses
delle cantine De Castris. Ricordando che Five Roses non è "solo" un vino. E' la creatività di un illuminato industriale del vino che durante la seconda guerra mondiale volle salvare non solamente la sua azienda, ma anche e forse soprattutto, il rapporto con chi nell'azienda lavorava, gli uomin ie le donne che avrebbero sofferto privazioni ben più grandi di quelle patite.
Scheda del Five Roses (a cura della Cantina De Castris)
UVE
Negroamaro (90%), Malvasia Nera di Lecce (10%)
VENDEMMIA
Raccolta manuale in cassetta con selezione dei grappoli nella prima decade di settembre
ZONA DI PRODUZIONE
Salice Salentino
ALLEVAMENTO VITI
Alberello con 7.000 ceppi per ha
RESA IN UVA PER HA
75 q.li
ETÀ MEDIA DEI VIGNETI
35 anni
VINIFICAZIONE
Macerazione pellicolare delle uve (temperatura di 10 °C) per 5-6 ore e successiva estrazione del mosto fiore (max 35%). Dopo la decantazione statica si avvia la fermentazione alcolica in tini di acciaio inox alla temperatura di 14 – 16 °C.
GRAZIONE ALCOLICA
12,00 % Vol.
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